Mozart's Adagio for Violin and Orchestra in E major K.261.
Se un umano nasce donna, le cose si fanno difficili.
quaresima del 415
hypatia, sacra esto[1]
Rosario
Consoli
R\L\Quatuor Coronati Emulatio 931
GOI, Firenze
[1]
Trad. Ipazia, sii maledetta. Ndr.
Ipazia
espresse un acume ed un’intelligenza fuori dal comune, non solo nel commentare,
ma anche nello sviluppare intuizioni di completamento ed altre di originale
natura interessandosi anche di meccanica e di ciò che oggi chiamiamo
tecnologia.
Disegnò strumenti scientifici, tra cui un astrolabio piatto, un apparato distillatore
e un idroscopio.
Dicono di Lei:
La sapienza di Ipazia
Evidenti segnali di violento fanatismo si erano manifestati
sotto la reggenza ecclesiastica del vescovo
Teofilo (pare abbia ispirato, ammesso che ce ne fosse stato bisogno, l’Imperatore Teodosio
nell’emanazione degli editti persecutori) che aveva fatto distruggere gli
emblemi monumentali della civiltà greco orientale assieme al “Serapeum” (tempio di Serapide) e la
biblioteca che ad esso era annessa.
Una mazza ferrata la colpì alla testa, schegge affilate
spuntarono a lacerarne le carni. Le furono cavati gli occhi e, nell’estremo
accanimento, smembrata e fatta letteralmente a pezzi. Gli arti strappati dal
tronco e il tronco squartato. Inceneriti i resti
Bellezza, sapienza e
forza morale.
Concentrate in un
unico essere. L’una virtù conferma e accentua l’altra, esaltandone forma e
sostanza nei contorni armoniosi di Ipazia.
v
Scienziata, filosofa,
astronoma, matematica, musicologa, medico, vissuta intorno al quarto secolo in
Alessandria d’Egitto.
Straordinario
coagulo di virtù civili e morali, unite ad una mente votata alla ricerca ed
alla conoscenza, di uno spirito mai pago di sapere, sembra non avere rivali
nemmeno tra i più eclettici uomini di pensiero che abbiano segnato il tempo.
Tuttavia pare
avvolta dalle nebbie di un passato, che fanno appena trapelare un simbolo di puro amore per la verità, la
scienza e la ragione.
Le sue conoscenze,
i suoi studi, le sue invenzioni
Ipazia, IV secolo d.C., figlia e discepola del grande Teofanae (Teothecno) astronomo, matematico e rettore
dell'università di Alessandria. Superò di gran lunga il padre, insoddisfatta di
quelle verità statiche che, per dirla col libro sapienziale, per lei non erano
altro che fiumi che non ingrossano il mare e dal quale tornano a fluire in
altri percorsi di conoscenza.
Filostorgio, storico della Chiesa contemporaneo di Ipazia, cosi scrive:
v
“apprese
dal padre le scienze matematiche, ma divenne molto migliore del maestro
soprattutto nell’arte dell’osservazione degli astri” … “introdusse molti alle
scienze matematiche” … “divenne molto migliore del maestro soprattutto
nell’arte dell’osservazione degli astri”
Altre fonti la
descrivono di
v
“natura
più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le
scienze matematiche a cui era stata indotta da lui, ma, non senza altezza
d’animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche”.
Coltissima, si
dedicò alle opere di Diofanto, Apollonio di Perge, Claudio Tolomeo, Platone, Plotino, Euclide: Di queste menti illustri
Ipazia si nutrì.
Sc Scrisse tredici volumi di commento su “L’aritmetica” di Diofanto (matematico delle equazioni a
coefficienti interi).
Disegnò strumenti scientifici, tra cui un astrolabio piatto, un apparato distillatore
e un idroscopio.
Tutto ciò che era
esplorabile era oggetto di ricerca, studio e approfondimento.
Tutto ciò che era
esplorabile era oggetto di ricerca, studio e approfondimento.
v
“…Ipazia
aveva scoperto qualche cosa di nuovo a proposito del moto degli astri ed ella
rese questo suo nuovo sapere acquisizione accessibile agli uomini ed alle donne
della sua epoca esponendo le sue nuove osservazioni in un’opera originale che
intitolò Canone astronomico”. (Flogisto)
- Scrive Rita Levi Montalcini nel suo libro “Le
tue antenate…”:
v
“È stata
l'unica matematica donna per più di un millennio. Bisognerà aspettare il
Settecento per avere due scienziate di rango paragonabile: Maria Gaetana Agnesi e Sophie
Germani”.
Vorremmo chiederci
quanto il mondo sarebbe stato diverso se tanti spiriti liberi non fossero stati
obliterati e ridotti al silenzio e la storia di essi occultata.
·
*Forse la storia dei liberi pensatori
avrebbe avuto diversa evoluzione se lo straordinario percorso del libero
pensiero non avesse subito l’arresto nelle fucina di Alessandria.
·
*Forse avremmo datato nel IV secolo
anziché nel 1717 la nascita di una Muratoria “speculativa” che avrebbe
preceduto quella “operativa” sovvertendone l’attuale cronologia.
·
*Forse la storia sarebbe stata diversa e
ci saremmo risparmiati secoli bui di profonda regressione spirituale. Forse!
·
*Ma in
ogni caso, certamente, i valori e i principi Universali sarebbero rimasti i
medesimi, solo maggiormente efficienti in una società eticamente più evoluta.)
I contemporanei
indicarono in lei la grande caposcuola del Platonismo, dopo Platone e Plotino.
Insegnò ad
Alessandria per più di vent'anni, fino al 415 (giorno della sua tragica morte).
Ne Nel De dono,
l'allievo di Ipazia, Sinesio, aveva scritto che
«l'astronomia
è di per se stessa una scienza di alta dignità, ma può forse servire da ascesa
a qualcosa di più alto, da tramite opportuno verso l'ineffabile teologia,
giacché il beato corpo del cielo ha sotto di sé la materia e il suo moto sembra
essere ai sommi filosofi un'imitazione dell'intelletto. Essa procede alle sue
dimostrazioni in maniera indiscutibile e si serve della geometria e
dell'aritmetica, che non sarebbe disdicevole chiamare retto canone di verità».
Il contesto storico. Gli editti di Teodosio
Osserviamo ora qual’era
il contesto storico/politico/religioso in cui si muoveva Ipazia.
- Costantino (Flavius Valerius
Constantinus) imperatore romano dal 306 al 337. Con lui inizia una nuova era in cui il
cristianesimo si impone per essere accettato con decreto imperiale.
Viene sancita l'alleanza con la
Chiesa cristiana
e, con essa, la fine delle persecuzioni e con gli onori riservati ad una religione di stato.
- Giuliano (Flavius Claudius Iulianus)
letterato e imperatore romano fino al 363, da cristiano convertito al
paganesimo, tentò senza riuscirvi di restaurare la religione dei padri col nome di “ellenismo”.
Prese dai cristiani l’appellativo di Apostata e presentato, da essi, come un
persecutore.In
realtà Giuliano fu tutt’altro che un persecutore, poiché durante il suo regno
illuminato vi fu grande tolleranza nei
confronti di tutte le religioni, comprese le diverse dottrine cristiane.
Intese sostenere anche altre religioni,
come l'Ebraismo, anch'esse (seppure in misura più limitata) discriminate dalla
protervia cristiana. Tentò di restituire giustizia volendo ricostruire il Tempio di Gerusalemme, ma con poco successo. Tutti i
tentativi di Giuliano di ricostituire una società aperta e tollerante non
ebbero risultati apprezzabili, forse anche a causa della brevità del suo regno,
finito il quale, il Mondo Pagano subì un’accelerazione nel suo ormai segnato
decadimento.
v
Teodosio, imperatore fino al 395, acuì la persecuzione contro
tutte le religioni che non fossero la cristiana, con particolare accanimento al
paganesimo, giudicato ufficialmente illegale in tutto l’impero.
v
Fece chiudere definitivamente i pochi Templi rimasti operativi.
v
La pena di morte divenne la condanna pendente sul capo di coloro
che rifiutavano la conversione al Cristianesimo.
Emise ben 4 decreti nel merito:
v
Il decreto del febbraio 391: vietato
entrare nei templi. Il 24 febbraio 391
l 'imperatore Teodosio, detto dai cristiani "Il
Grande", battezzato nel 380, emise il provvedimento legislativo "Nemo
se hostiis polluat"(……………)
v
Il decreto del 16 giugno 391: estensione delle
proibizioni
v
Il decreto di Aquileia,16 giugno 391, estende le disposizioni
precedenti anche all'Egitto, dove Alessandria godeva di speciali privilegi
relativi ai culti locali.
v
Il terzo editto del 391: distruggete i templi.
v
Il quarto editto del 392: pena di morte. Con
questo editto si raggiunge un tasso di intransigenza così assoluta nei
confronti delle tradizioni locali, da sancirne di fatto la loro fine con tutti
i mezzi sanzionatori possibili, compresa la pena di morte.
L’editto
prevedeva:
·
la pena di morte per chi effettuava sacrifici e pratiche
divinatorie
·
la confisca delle abitazioni dove, con i Templi ormai distrutti,
si svolgevano i riti.
·
pesanti sanzioni per i decurioni quando non applicavano
puntualmente la legge.
·
la proibizione di altari, torce, agapi, offerte votive, divinità
domestiche del focolare, corone,
ghirlande e ornamenti floreali,e quant’altro che rappresentasse solo
un’intenzione di onorare divinità o simboli diversi da quelli cristiani. Un
simbolo distrutto è una memoria azzerata.
Teofilo,
vescovo, ebbe parte decisiva, così come la ebbe Cirillo, Vescovo di Alessandria, nell’ultima violenta e cruenta
azione nel cancellare il Neoplatonismo e il libero pensiero di cui Ipazia fu
l’ultima strenua portatrice.
Unico uomo di potere
ad alzare le difese contro il potere dei nuovi gerarchi ecclesiastici, Oreste, Prefetto di Alessandria e sostenitore di Ipazia..Ma era destinato a
perdere nell’impari lotta.
La sapienza di Ipazia
In questo quadro grandemente
persecutorio Ipazia di estrazione pagana, non scevra di quella religiosità
teologica, filosofica e cosmogonica tipica del “pagus”, rappresentava un mondo
aperto al trascendente e simboleggiato da miti dal profondo significato
esoterico che sarebbe stato abbattuto dall’ormai vincente cristianesimo
(o,meglio,da coloro che ne avrebbero rappresentato l’anima intollerante fino
all’abbattimento fisico e alla distruzione di luoghi sacri e accademie
filosofiche che fecero di Alessandria un vero faro di sapienza). Dopo Maria
l’Ebrea (la prima scienziata/alchimista dell’antichità di cui si abbia
notizia), Ipazia fu la prima donna a rappresentare un pensiero, un metodo, una
concezione universale del cosmos di straordinaria modernità.
Pallada (detto Meteoro), poeta e letterato “greco antico”, dedica ad Ipazia un
commovente epigramma:
“Quando ti vedo mi
prostro, a te e alle tue parole,
vedendo
la casa della Vergine tra le stelle,
infatti il cielo è
rivolto ad ogni tua azione Ipazia santa,
bellezza di parola, pura stella della sapiente cultura.”
Maestra di saggezza,
fu in Alessandria riferimento di spiriti liberi, eruditi e popolani, con tutti
parlando, a tutti rispondendo e con tutti scambiando conoscenza, insegnava
imparando in un anelito insopprimibile ad una verità sempre più evoluta
permeato di rigore scientifico e di una spiritualità che con esso,
mirabilmente, intrecciava connessioni e attinenze di sottile fattura fino a
disegnare la cornice di un quadro in cui armonizzare i colori di una sapienza
complessiva dal carattere universale.
Razionalità e
spiritualità convivevano in essa così come cultura pagana e cultura cristiana,
pur tra loro in competizione, potevano
trovare punti di contatto purché esenti e non contaminati da assiomi di
verità assolute e inamovibili.
Attribuire ad Ipazia
la maestria delle sette arti liberali, principi di Fratellanza e valori
universali di Tolleranza, Libertà e Uguaglianza, è come riconoscerle una sua
naturale prerogativa, tanto connaturati erano in lei le massime virtù tra le quali (come le colonne
Dorica-Ionica-Corinzia) Sapienza, Forza e Bellezza si esprimevano in solare
evidenza.
Ma tali virtù e
tanto anelito alla conoscenza non potevano passare indenni in un’epoca in cui
nella fiorente Alessandria già levitavano fermenti e contrapposizioni religiose
tra Ebrei, Cristiani e neoplatonici.
Il pensiero libero
ed in continua progressione di Ipazia destabilizzava le nascenti gerarchie
religiose bisognose di affermazione e consolidamento in una chiusura
assolutista in cui il dogma già era garanzia di immutabilità, privilegio di
casta e controllo delle coscienze.
I venditori di
verità rivelate rischiavano di vedere svilito il proprio prodotto concesso a
buon mercato nel baratto con le coscienze. Le verità assolute davano già
confortanti certezze sollevando gli animi da ogni necessità di ricerca
risolvendo ogni “perché” e scansando il tormento del dubbio che già assurgeva
al rango propedeutico di eresia.
L’epilogo inevitabile
Già il cirenaico Sinesio paventava la
deriva fondamentalista e totalizzante della nuova religione e ne temeva il
forte assetto dogmatico. Forse è per ciò che assurse alla carica vescovile
senza nemmeno essere battezzato?
v
Forse
lui stesso si adoperò affinché Ipazia abbracciasse la religione cristiana e,
con essa, cristianizzare il paganesimo (o paganizzare il cristianesimo?)
fondendolo in una emulsione che li contaminasse entrambi, lasciando immutata
quella cultura ellenistica in cui si era formato.
v
Sognava,
forse, il grande compromesso che, in ultima analisi, consentisse una pacifica
convivenza tra diverse culture?
Alla scienza di
Ipazia si oppone il potere religioso
Intollerabile
appariva alla comunità cristiana più fondamentalista che la sapienza e la
cultura fossero così grande patrimonio del mondo pagano.
Altrettanto
intollerabili apparivano i miti pagani nel loro profondo significato esoterico.
E
ancora più intollerabile appariva la molteplicità delle tradizioni pagane con i loro diversi modi di vedere un comune
significato.
Inaccettabile
questa area di libero pensiero, strettamente legata alla cultura popolare che
in diverso modo (dialettico) le aveva concepite, difficile da ingabbiare senza
imporre un pensiero unico che potesse scardinare un pensiero unificante.
Ma chi era mai
questa Ipazia, pagana, cosi estranea ai valori di un clero chiuso ai
fondamentali diritti della ragione? Come osava, l’infedele pagana, indurre
pensieri non strettamente connessi alle dogmaticità tanto funzionali al potere
clericale?
In una società ormai
completamente cristianizzata, il Vescovo Cirillo (poi assurto a santità), nel
412 divenne Patriarca di Alessandria. Le discriminazioni contro Ebrei e
neoplatonici presero ancora una volta forma di persecuzione e il conflitto tra
Stato (rappresentato da Oreste, prefetto della città ed amico/discepolo di
Ipazia) e la Chiesa (rappresentata dal Patriarca Cirillo) assunse forme di
scontro aperto.
Il rifiuto di Ipazia scatenò la folla
v
Ipazia
fu invitata, presumibilmente nella Quaresima come prevedeva il rituale romano,
a convertirsi al cristianesimo, ma,
ovviamente, rifiutò.
Questo rifiuto, nel rituale
romano, veniva considerato un crimine da punire con la morte
Ormai considerata
come sovversiva e dotata di arti oscure, cominciò a incamminarsi verso una fine tragicamente atroce.
Negli anni che vanno
dal 412 al 415 l’intolleranza clericale andò crescendo assumendo sempre più
forme minacciose e virulente, innescata e alimentata dalla predicazione di
Cirillo, che raggiunse il suo violento culmine nel 415.
Impensabile che
Ipazia non avvertisse la morsa di intolleranza che si stringeva sempre più.
Troppo intelligente
era per non capire quanto l’avversione si fosse tramutata in odio, troppo
sensibile era per non percepire quanto gli sguardi belluini di fanatici
potessero tramutarsi in atti mortali. Ma la forza del libero pensiero e la
comunione con gli spiriti liberi erano almeno pari al coraggio di vivere ed
agire oltre ogni paventata minaccia.
Il massacro della
quaresima[1]
[1]
NdR. Anche Giordano Bruno fu ucciso durante una quaresima.
Nel Rituale Romano è ben spiegato il significato della
Quaresima
v
Era
l’8 marzo dell’anno 415.
v
Quaresima
di battesimo?
v
Quaresima
cristologica?
v
Quaresima
penitenziale?
Ipazia, indossato il
suo mantello, scendeva per le strade per il consueto dialogare con la gente. In
molti chiedevano, a tutti rispondeva, con tutti parlava. Fossero cristiani,
ebrei o pagani, tutti avevano qualcosa da dire o una domanda da porre .
Chiunque apprezzava o contestava affermando un’idea e ricevendone pacata
risposta.
Il senso dell’”Agora” come luogo di libero scambio di
idee trovava naturale compimento nella polis
e di essa era l’espressione intellettuale più libera. Sentimenti, idee,
concettualità si intrecciavano camminando su una linea di frattale che toccava
e alimentava le menti e i cuori come linfa nutriente e benefica.
Il bene della conoscenza
circolava e se solo un residuo di essa avesse raggiunto la coscienza di un
uomo, sarebbe stato un altro passo sul percorso evolutivo.
Valeva la pena tutto
ciò! Ma valeva anche la pena di morire per ciò? Certamente premoniva nell’odio
serpeggiante di schiere di fanatici cristiani quanto questi, vittime del mostro
dell’ignoranza, potessero diventare a loro volta persecutori e carnefici. Spesso
il peggiore degli aguzzini è solo un servo intento a compiacere un padrone.
v
Ipazia
doveva tacere, Ipazia era lo specchio della loro cattiva coscienza o, peggio,
della sua totale assenza.
Cosi un gruppo di
indiavolati da un cristianesimo deviato e distorto[1],
avvicinò la donna.
Cos’altro dire?
Cos’altro se non
sentirsi precipitare nel buio profondo vedendo spegnersi quella che per molti
secoli a venire sarebbe stata l’ultima luce?Cos’altro rimaneva a quegli spiriti
liberi che da essa traevano lumi di conoscenza se non abbandonare quel luogo
ormai divenuto per loro funesto? Il faro si era spento,le ombre nere ormai
dominavano.
Per Margherita Hack, il massacro di Ipazia
segna l’inizio dell’oscurantismo.
Dice: «Sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare
Ipazia e i suoi allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso».
Non stentiamo a
crederlo. Stentiamo invece a credere come,nel nostro tempo così libero e colmo
di declamate benevolenti intenzioni, questa fulgida figura sia stata ignorata,
come il silenzio l’abbia avvolta quasi una coscienza collettiva intenta alla
sottile pratica dell’autocensura abbia inteso rimuoverla. Abbiamo forse voluto
rompere lo specchio solo perché rimanda, sgradita, la nostra immagine? Forse
che le nostre virtù sono così impalpabili di fronte al peso dei vizi? O forse
perché preferiamo vedere i vizi altrui che, nella consuetudine, giustifichino i
nostri? O forse perché ormai abbiamo dimenticato di essere parte attiva di
quella politica, religione, costume le cui storture che vediamo esterne al
nostro essere, avversiamo con semplici manifestazioni di principio?
v
Scendere
nelle profondità del nostro io è la grande lezione di Ipazia.
Porgere le mani
inermi per donare è il grande atto di amore dimenticato.
v
Recuperare
secoli di oscurità ancora fortemente presenti è un atto di giustizia verso noi
e gli altri.
Ci venga in aiuto il
dolore mortale di chi lo ha provato e facciamo nostra l’esortazione:
Cos’altro dire?
Cos’altro se non
sentirsi precipitare nel buio profondo vedendo spegnersi quella che per molti
secoli a venire sarebbe stata l’ultima luce?Cos’altro rimaneva a quegli spiriti
liberi che da essa traevano lumi di conoscenza se non abbandonare quel luogo
ormai divenuto per loro funesto? Il faro si era spento,le ombre nere ormai
dominavano.
Per Margherita Hack, il massacro di Ipazia
segna l’inizio dell’oscurantismo.
Dice: «Sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare
Ipazia e i suoi allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso».
Non stentiamo a
crederlo. Stentiamo invece a credere come,nel nostro tempo così libero e colmo
di declamate benevolenti intenzioni, questa fulgida figura sia stata ignorata,
come il silenzio l’abbia avvolta quasi una coscienza collettiva intenta alla
sottile pratica dell’autocensura abbia inteso rimuoverla. Abbiamo forse voluto
rompere lo specchio solo perché rimanda, sgradita, la nostra immagine? Forse
che le nostre virtù sono così impalpabili di fronte al peso dei vizi? O forse
perché preferiamo vedere i vizi altrui che, nella consuetudine, giustifichino i
nostri? O forse perché ormai abbiamo dimenticato di essere parte attiva di
quella politica, religione, costume le cui storture che vediamo esterne al
nostro essere, avversiamo con semplici manifestazioni di principio?
v
Scendere
nelle profondità del nostro io è la grande lezione di Ipazia.
Porgere le mani
inermi per donare è il grande atto di amore dimenticato.
v
Recuperare
secoli di oscurità ancora fortemente presenti è un atto di giustizia verso noi
e gli altri.
Ci venga in aiuto il
dolore mortale di chi lo ha provato e facciamo nostra l’esortazione:
Cos’altro dire?
Cos’altro se non
sentirsi precipitare nel buio profondo vedendo spegnersi quella che per molti
secoli a venire sarebbe stata l’ultima luce?Cos’altro rimaneva a quegli spiriti
liberi che da essa traevano lumi di conoscenza se non abbandonare quel luogo
ormai divenuto per loro funesto? Il faro si era spento,le ombre nere ormai
dominavano.
Per Margherita Hack, il massacro di Ipazia
segna l’inizio dell’oscurantismo.
Dice: «Sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare
Ipazia e i suoi allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso».
Non stentiamo a
crederlo. Stentiamo invece a credere come,nel nostro tempo così libero e colmo
di declamate benevolenti intenzioni, questa fulgida figura sia stata ignorata,
come il silenzio l’abbia avvolta quasi una coscienza collettiva intenta alla
sottile pratica dell’autocensura abbia inteso rimuoverla. Abbiamo forse voluto
rompere lo specchio solo perché rimanda, sgradita, la nostra immagine? Forse
che le nostre virtù sono così impalpabili di fronte al peso dei vizi? O forse
perché preferiamo vedere i vizi altrui che, nella consuetudine, giustifichino i
nostri? O forse perché ormai abbiamo dimenticato di essere parte attiva di
quella politica, religione, costume le cui storture che vediamo esterne al
nostro essere, avversiamo con semplici manifestazioni di principio?
v
Scendere
nelle profondità del nostro io è la grande lezione di Ipazia.
Porgere le mani
inermi per donare è il grande atto di amore dimenticato.
v
Recuperare
secoli di oscurità ancora fortemente presenti è un atto di giustizia verso noi
e gli altri.
Ci venga in aiuto il
dolore mortale di chi lo ha provato e facciamo nostra l’esortazione:
Oh! squarciatemi il velo, e
l’inumana
storia m’aprite di que’ vili astuti;
date agli occhi di pianto una fontana!
date agli occhi di pianto una fontana!
La voce alzate, o secoli
caduti!
Gridi l’Africa all’Asia, e
l’innocente
ombra d’Ipazia il grido orrendo aiuti.
ombra d’Ipazia il grido orrendo aiuti.
Gridi irata l’Aurora
all’Occidente,
narri le stragi dall’altare uscite;
e l’Occaso risponda all’Oriente.
narri le stragi dall’altare uscite;
e l’Occaso risponda all’Oriente.
(V. Monti, Poesie, Il fanatismo)
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